5 AGOSTO 1922 - 5 AGOSTO 2006
[Il seguente testo è un approfondimento della relazione pesentata da Federico Sora all'iniziativa del 5 agosto 2006 organizzata dall'Archivio-Biblioteca E. Travaglini in ricordo di Amilcare Biancheria e Giuseppe Morelli]
Il 5 agosto del 1922, al culmine dell’offensiva squadrista nelle Marche, durante un raid delle squadre fasciste Fano pagava un pesante tributo ai fautori della violenza e dello squadrismo politico. Nella notte due fanesi furono barbaramente uccisi:
Amilcare Biancheria e Giuseppe Morelli.
Amilcare Biancheria, giovane muratore di 23 anni, abitante nel noto rione popolare e sovversivo di San Leonardo, simpatizzante comunista e di famiglia anarchica.
Il padre, Mariano, muratore, nato nel 1874, risulta tra i sovversivi schedati in Casellario Politico Centrale e la polizia fascista lo continua a controllare fino agli anni Quaranta, quando annotano che pur vecchio e non esplicando attività politica, conserva le sue antiche idee. Costretto ad emigrare in America nel 1905 in cerca di lavoro, rientra a Fano definitivamente nel 1916, in tempo per vedere il figlio Amilcare partire per il fronte, con la leva del 1899. Nel Casellario sono pure schedati, come anarchici, gli zii di Amilcare, entrambi emigrati e residenti in Nord America: Nazzareno, fratello maggiore di Mariano e Adimero, tessitore, muratore, nato da un secondo matrimonio del padre Luigi, rimasto vedovo. I documenti di polizia degli anni Trenta riportano che piuttosto che Adimero questi usasse altri nomi o pseudonimi: Annibale, Amabile e … Amilcare; sotto questo pseudonimo lo troviamo, nel 1931, in un elenco di sovversivi che ebbero contatti con il noto anarchico Severino Di Giovanni. È abbonato fino al 1924 alla rivista anarchica Pensiero e Volontà edita da Errico Malatesta, viene attentamente controllato dal consolato Italiano di Boston, perché, oltre alle sue idee nel periodo della rivoluzione spagnola (1936/1939) sostiene il Comitato anarchico Pro Spagna. I fratelli Mariano e Nazzareno erano stati firmatari dell’appello degli anarchici marchigiani contro il domicilio coatto del 1898; erano pure sostenitori della stampa anarchica come testimoniano le numerose sottoscrizioni, una di Nazzareno per L’Agitazione anche durante la sua permanenza a Bucarest (dove si era recato clandestinamente per lavoro prima di partire per gli Stati Uniti).
Amilcare Biancheria, nato nel 1899, chiamato al fronte per la difesa del Piave, al ritorno dalla I Guerra Mondiale, frequenta le compagnie sovversive; a Fano durante il biennio rosso lo scontro sociale era molto aspro, quotidianamente venivano organizzate manifestazioni e scioperi (i muratori, i pescatori e le filandaie di Fano erano i settori più attivi ed organizzati). Poi, quando la reazione inizia ad armare il movimento fascista partecipa anche agli scontri con i fascisti locali.
A Fano viene inizialmente organizzato, all’inizio dell’agosto 1921, un gruppo di Arditi del Popolo “unitari” (1); l’iniziativa è poi contrastata dal gruppo dirigente del neonato PCdI che preferisce squadre composte da elementi omogenei, cioè solo da comunisti. Amilcare, insieme a tanti altri giovani partecipa sia alle iniziative unitarie che a quelle organizzate dal Partito Comunista. La natura del Partito Comunista a Fano è abbastanza particolare, da una parte raccoglie gli insoddisfatti delle politiche del Partito Socialista ma molti giovani vengono dall’esperienza anarchica, movimento da sempre molto vivo ed attivo a Fano. Questa base del nuovo partito comunista, proveniente dall’area anarchica, dà grattacapi alla direzione del PCdI perché non sempre l’obbedienza alle direttive della segreteria del partito era cieca; un esempio è rappresentato dalla proposta della sezione fanese del PCdI di presentare, nelle liste delle elezioni politiche del 1921, la candidatura di protesta dell’anarchico Errico Malatesta. I dirigenti politici del partito devono faticare non poco per far passare il candidato ufficiale.
Insieme ad altri giovani comunisti Biancheria è coinvolto negli scontri con i fascisti del 6 novembre 1921. In quel giorno erano convenuti a Fano diversi fascisti di fuori per celebrare il ritorno da Roma della bandiera del 94° Rgt fanteria; nella serata (secondo la ricostruzione delle autorità di polizia e giudiziarie) avviene uno scontro nel Corso Vittorio Emanuele, la via principale di Fano, tra un gruppo di fascisti ed un gruppo di comunisti, tra cui Libero Spezi, calzolaio di 22 anni (anche lui figlio di anarchici, dalle autorità ritenuto aderente agli Arditi del Popolo), intervengono le Guardie Regie che intimano ai due gruppi di disperdersi, ma mentre il gruppo dei fascisti si dilegua, il gruppo di comunisti rimane urlando in faccia alle guardie e tentando pure di disarmarle. A quel punto giungono altre guardie che procedono all’arresto dello Spezi, che verrà imputato di minacce, violenze e tentativo di disarmo della Guardia Regia Francesco Cataldo (Pretura Fano, proc. n. 202 R.G. 1921) e poi condannato a 10 giorni di carcere dopo la richiesta del minimo della pena fatta sia dal Pubblico Ministero che dalla Difesa.
Il processo allo Spezi, che si tiene alla Pretura di Fano il 14 dicembre 1921, vede Biancheria Amilcare, insieme a Alfredo Bartolini di Remigio di 21 anni, residente a Fano, muratore, come testi della difesa dello Spezi. Questi due smentiscono la versione delle RRGG della rissa e delle violenze dichiarando che l'arresto è avvenuto circa due ore dopo gli scontri, in piazza XX settembre, mentre lo Spezi, Biancheria e Bartolini stavano camminando (a questa dichiarazione scoppiano grida in aula e questa viene sgomberata). Questo episodio, alla luce della successiva vicenda dell’omicidio del Biancheria, che le cronache e il rapporto del Prefetto attribuiscono alle Guardie Regie, è da annotare attentamente: le Guardie Regie Francesco Cataldo e Alfio Toscano, firmatarie del rapporto e testimoni d’accusa a processo, smentiti nella loro ricostruzione potevano aver un motivo di rivalsa nei confronti del Biancheria! Un “conto sospeso” con Guardie Regie!
Tale ipotesi è anche rafforzata dalla cronaca dell’episodio apparsa il giorno 12 agosto1922 sulle colonne del settimanale liberale provinciale (ma ormai praticamente fascistizzato) «Il Gazzettino» che riporta “… Sappiamo che ad opera di alcuni vigliacchi che bramano restare al buio per paura della propria pelle vengono sommessamente fatti dei nomi di persone come indiziate di aver risposto al fuoco ed ucciso il Biancheria. La P.S. indaga per scoprire i propalatori dei nomi di queste persone che neanche a farlo apposta in quella sera non erano di servizio, e per procedere contro di essi in quanto rei di istigazione all’odio e speriamo che l’opera sia coronata da buon successo …”. Dunque la PS invece che ricercare il colpevole dell’omicidio del Biancheria cercava chi aveva fatto dei nomi!!! Ed è pure evidente che coloro di cui si ipotizzava il coinvolgimento erano militari ben conosciuti.
Bisogna inquadrare il contesto in cui si svolsero gli scontri a Fano del 5 agosto 1922, una giornata estremamente convulsa secondo le cronache e sulla quale non ci aiuta in chiarezza la scarsa documentazione conservata negli archivi ministeriali. Dopo lo sciopero nazionale (definito legalitario) di fine luglio e quello regionale indetto dall’Alleanza del Lavoro, ad inizio agosto, i fascisti tentarono la loro offensiva generale; nella nostra regione era indispensabile, per le squadre fasciste, far cadere le roccaforti rosse della provincia di Pesaro ed Ancona; in particolare quest’ultima città, dichiarata come obiettivo strategico. Ancona fu il centro di un assalto di forze fasciste provenienti dalle Marche, dall’Umbria e dalla Romagna con forti scontri e violenze e morti; l’azione dura diversi giorni ma già dal 5 inizia il ritorno nelle rispettive località delle squadre fasciste (che avevano l’ordine di portare “ordine” anche nelle località di passaggio e di proseguire l’opera violenta di “bonifica”). A Fano il giorno 5 passano delle squadre di ritorno da Ancona e le forze antifasciste di Fano, già abbondantemente indebolite dalla repressione, cercano di organizzare un tentativo di reazione. Viene tentato un assalto alla sede fascista (o più probabilmente viene semplicemente lanciata una bomba a mano che forse fa un ferito); un treno, carico di fascisti, proveniente da Ancona è oggetto di un lancio di altra bomba a mano, senza conseguenze. Le Guardie Regie (insieme ad altri militari) sono presenti con un camion presso la sede fascista, presidiano e pattugliano tutta la città (come sempre avveniva in quel periodo le Guardie Regie non solo scortavano e difendevano i fascisti, coprendo le azioni e le violenze fasciste, ma in tanti casi sono esse protagoniste di violenza, naturalmente con buona pace della tutela della sicurezza pubblica (2)). Alle Guardie Regie si uniscono numerosi fascisti a bordo di un camion (i fascisti locali e di Perugia, di ritorno da Ancona, stavano festeggiando e brindando nella sede dell’Unione Monarchica mentre secondo altre fonti si trovavano ad una festa presso lo stabilimento balneario). Inizia così, nella serata di sabato 5, una spietata caccia al sovversivo. Un primo contatto avviene in piazza Costanzi dove c’è probabilmente uno scontro a fuoco con gli antifascisti che le guardie inseguono in Borgo San Leonardo (Via Cavour) in questo contesto viene colpito, nei pressi di un vicolo cieco a lato della via, Amilcare Biancheria (come indica il telegramma del Prefetto Oreglia di Pesaro al Ministero degli Interni). Una “voce popolare” giunta oralmente fino ai nostri giorni racconta che il Biancheria si nascose tra delle casse e fu trovato dalle Guardie Regie grazie alla delazione di un prete, parroco della chiesa di San Leonardo che si trovava affacciato alla finestra della canonica proprio di fronte al luogo dell’uccisione. Questi indicò agli uccisori il posto dove si era nascosto il Biancheria. Il prete, attivo interventista prima e dalle forti simpatie fasciste poi, Don Molari, fu autore di scritti e di poesie inneggianti al Duce e al clericalismo, ironia della sorte fu poi emarginato dal regime.
[Nelle foto, copertina e dedica dell'opuscolo "Pagine al vento", di Don Peppino Molari]
Biancheria, colpito alla testa, non muore subito ma trasportato all’ospedale muore, per le ferite il giorno seguente (secondo alcune indicazioni dei certificati comunali, la morte potrebbe essere avvenuta il giorno 7; comunque, mentre nelle prime corrispondenze di stampa si parla, appunto, di un morto ed un ferito grave, nel citato telegramma del Prefetto del 6 agosto 1922, spedito alle 12,45, il Biancheria è già dato per morto). Il secondo ucciso, in questo caso in maniera estremamente barbara, è Giuseppe Morelli.
Morelli, 47 anni, repubblicano, facchino e cameriere presso l’Albergo Moro-Nolfi, quella notte era stato incaricato dal proprietario dell’albergo, vista la serata piena di tensioni, di andare a recuperare un suo figlio che si era recato ad uno spettacolo teatrale. Mentre percorre Via SAN Francesco un gruppo di fascisti procede in camion in Corso Vittorio Emanuele (ora Corso Matteotti) e vengono sparati dei colpi di moschetto da una distanza di 30 metri. Ma non basta, seppure colpito viene rialzato e trafitto da colpi di baionetta: un delitto particolarmente efferato sulla cui dinamica coincidono alcune fonti (il resoconto apparso su «Umanità Nova», il certificato di morte presso la nostra anagrafe e le testimonianze orali). Morelli muore immediatamente. Una testimonianza orale indiretta raccolta dal nostro Archivio ci aiuta: il racconto viene dalla suocera dell’intervistato Lanci Livia, a quell’epoca appena dodicenne, quella sera estiva era alla finestra di casa, in alto sul vicolo dove avviene l’omicidio, un gruppo di camice nere circonda il Morelli che risponde ad alta voce “Io sono un libero cittadino, io non ho fatto male a nessuno”, a questo punto scatta la violenza e Morelli, oltre ai colpi d’arma da fuoco vene rialzato e finito a colpi di baionetta. La ragazza rimase fortemente colpita dall’avvenimento che per lungo tempo si rifiutò di uscire di casa. Sull’episodio abbiamo raccolto anche un’altra testimonianza orale, di un testimone diretto che vide il corpo del Morelli, senza vita, ancora sulla strada alle 4 del mattino.
Vengono segnalati inoltre, la distruzione di un Circolo Socialista (o comunista sito in Via Sant’Agostino) e di un Centro Studi Sociali dei giovani libertari. Il giorno dopo apparve un manifesto che compiangeva una delle vittime mentre accusava l’altra di aver sparato contro la forza pubblica. Il delegato della P.S., Carrozza, vieta il funerale delle vittime mentre, insieme al Tenente dei Carabinieri, Guerrini, coordina l’arresto di una trentina di sovversivi; il tutto per preparare la grande sfilata del giorno 7.
Terminata la conquista di Ancona le colonne fasciste tornano nelle rispettive sedi facendo incursioni nei paesi attraversati nel viaggio. Una colonna di 400 squadristi (pesaresi e fanesi insieme ad una legione umbra) vengono incaricati da Silvio Gai di rastrellare parte del circondario di Ancona e recarsi poi nella provincia di Pesaro. La colonna è affidata al comando del Marchese Patrizi di Perugia insieme a Raffaello Riccardi, segretario del Fascio di Pesaro. Il Riccardi era da poco uscito dal carcere dove era rimasto alcuni mesi dopo i sanguinosi fatti accaduti a Cagli e dopo poco, a ottobre, sarà coinvolto nella nota e sanguinosa vicenda dell’assassinio di Gaetano Valenti.
La colonna prima si reca a Jesi dove compie azioni e dove, in serata, i due capi squadristi, insieme il fanese Prof. Garaguso, tengono un comizio in piazza; poi la colonna si sposta Montecarotto, Serra de’ Conti e Sassoferrato, dove si ripetono le stesse scene di violenza, fino a raggiungere, il giorno successivo, la provincia di Pesaro. Per prima viene toccata Cagli, dove il Riccardi aveva dei “conti in sospeso” con la popolazione locale e dove i fascisti aprono il fuoco contro le case. Intanto era giunto da Pesaro un forte contingente di Carabinieri e Guardie Regie che non contrastano i fascisti ma di fatto limitano eventuali azioni più violente. Si procede da Calmazzo per il Furlo e verso Fossombrone, dove alcune amministrazioni comunali sono costrette a presentare le dimissioni. La colonna arriva quindi in una Fano festeggiante ed imbandierata, dove “… compirono inquadrati l’intero giro della città suscitando una fervida dimostrazione di italianità …” («Il Gazzettino» 12 agosto 1922), concluso con un comizio in piazza di Silvio Gai. Il tour con sfilata militare e comizio di Gai prosegue in tarda serata a Pesaro dove i “festeggiamenti” durarono fino a tarda notte ed infine si concluse il giorno dopo con l’ultimo raid a Urbino.
La ricostruzione dei fatti è problematica: i giornali sovversivi locali: «Il Progresso» (socialista di Pesaro) e «Il Divenire» (socialista di Fano), «Bandiera Rossa» (comunista) chiusero o furono chiusi dai fascisti proprio in quel periodo (mentre «la Frusta anarchica dura fino alla metà di settembre ma non riporta più le cronache locali); le cronache del giornale liberale/agrario («Gazzettino») e quello cattolico («Metauro»), sempre pronti con fiumi d’inchiostro per una gallina rubata, in questa occasione si limitano a due miseri trafiletti. Mentre ben altra importanza viene dedicata, su «Il Gazzettino» del 12 agosto 1922, all’entusiastica descrizione delle imprese dei fascisti locali, capitanati dal famoso squadrista Riccardi, dopo l’azione in Ancona.
[Nella foto: squadristi e fascisti in Piazza XX Settembre a Fano, tra il Teatro e l'arco di Via Malatesta, negli anni venti. Al centro, probabilmente, il segretario provinciale del Fascio, Raffaele Riccardi]
Notizie più dettagliate dell’episodio potevano essere ricavate dalla consultazione degli atti del procedimento 334 (Tribunale di Pesaro, Registro generale dell’anno 1922, contro ignoti per omicidio e tentato omicidio ed accomunava come parti lese sia i due sovversivi uccisi sia il fascista Pietro Zauli (di Baccagno) forse rimasto coinvolto in scontri con gli antifascisti di quel giorno) ma questo fascicolo è scomparso! Probabilmente fu azzerato per l’amnistia concessa per i reati politici (e per coprire le violenze compiute dai fascisti). Nelle annotazioni del Registro Generale infatti rimane traccia di un suo percorso tra vari uffici, dal Giudice Istruttore al Pubblico Ministero, ma a sentenza non giunge mai e tra i fascicoli del Tribunale di Pesaro, conservati presso l’Archivio di Stato di Pesaro, dei procedimenti archiviati non è stato trovato. Come mai? Inizialmente si è ipotizzato per le “tracce” del coinvolgimento di qualche personaggio che doveva essere protetto. Casualmente però, consultando il Fondo manoscritti di Enzo Capalozza (presso la Biblioteca Federiciana di Fano), si sono rintracciati degli appunti scritti da questi in occasione della pubblicazione di un articolo sul “Notiziario di Fano” del 1973. Risulta che fu fatta una richiesta telefonica all’archivista del Tribunale di Pesaro (il Fondo non era stato ancora versato all’Archivio di Stato) per ottenere dei dati anagrafici sui due antifascisti fanesi uccisi e questi furono dati! Probabilmente il fascicolo dopo essere stato consultato non fu correttamente reinserito nei faldoni ed ora è disperso o in parti non ordinate di qualche archivio.
Questo episodio, poco conosciuto dai cittadini fanesi, era l’epilogo nella nostra realtà di un periodo di forti tensioni sociali e politiche e costellato da decine e decine di episodi di violenza.
Questi episodi di violenza erano certamente l’espressione di un aspro conflitto esploso dopo la prima guerra mondiale, con tutti i disastri economici che questa provocò, e anche per la convinzione (e la speranza), diffusa, che un cambiamento di sistema politico fosse imminente. Ma dietro molti episodi c’era anche una articolata regia che univano il neo-nato movimento fascista (nato con un confuso programma semirivoluzionario ma caratterizzato da un forte antibolscevismo e per questo finanziato da agrari e dai capitalisti in chiave antioperaia), forze militari e di polizia e magistratura compiacente.
Dalla ricerca fino ad ora operata sugli avvenimenti del periodo nel fanese infatti risultano molto chiare ed evidenti alcuni comportamenti:
L’operato delle forze dell’ordine e dei militari: come in altre situazioni diversi ufficiali dell’esercito simpatizzano e fanno parte del nascente movimento fascista, da alcuni episodi giudiziari esaminati emergono le connivenze nella gestione delle armi; alcuni ufficiali dell’esercito forniscono le armi, e successivamente (nei casi in cui i fascisti sono arrestati dalle forze dell’ordine) dichiarano la loro proprietà delle armi sequestrate. Infatti le perquisizione che spesso vengono richieste dal Ministero degli interni sono sempre a senso unico, si rivolgono esclusivamente alle aree sovversive.
Sempre nelle fila delle Guardie Regie e dei Carabinieri diversi ufficiali simpatizzano apertamente con il fascismo (e questo traspare molto chiaramente dall’esame della redazioni dei verbali sui fatti), inoltre in qualsiasi avvenimento si cerca di accostare il fatto compiuto dal fascista con quello compiuto dal sovversivo per incolpare questi ultimi delle responsabilità (l’ultima parte della manovra la compie la magistratura). Emblematico il caso dello scontro tra alcuni marinai fanesi (comunisti ed anarchici) ed un marinaio fascista Giovanni Borghini di Lugo avvenuta il 15 maggio 1921, i marinai fanesi, durante una lite per motivi politici al porto, tentano di scaraventare in mare il fascista che risponde sparando e colpendo alle gambe Remo Guerri: naturalmente i marinai sovversivi (Guerri e Scalpellini) sono accusati di violenze mentre per il fascista Borghini il magistrato sentenza che si tratta solo di “legittima difesa”. Tra l’altro questo episodio dà l’avvio all’azione di rappresaglia compiuto dai fascisti di Lugo con la devastazione della sede dell’Unione Marinai (il sindacato dei marinai fanese aderente all’USI, il sindacato anarchico e rivoluzionario) avvenuta due giorni dopo senza che le forze dell’ordine si accorgano di nulla (un camion ed una autovettura carica di fascisti armati che arriva da Lugo senza essere assolutamente notata!!! Eppure le disposizioni ministeriali sul controllo del traffico erano molto chiare)
Dell’operato della magistratura invece ne abbiamo un altro esempio con gli scontri del 4 maggio 1921 (pochi giorni prima dell’altro episodio). Quando Silvio Gai, rappresentante regionale del fascio, viene a Fano per un comizio; alla fine del comizio i fascisti venuti da fuori vanno a festeggiare nella sede Monarchica e alcuni fascisti fanesi si scontrano con sovversivi locali. Informati di questi scontri i fascisti forestieri vanno a devastare la vicina sede socialista, asportandone pure dei contanti. Ebbene dal punto di vista della giustizia finisce che Ferri Umberto (sovversivo) subisce un processo per minacce (fortunatamente poi viene assolto, perché l’episodio è artatamente costruito dai fascisti) mentre Gai ed un altro fascista (responsabili politici regionali del Fascio e del saccheggio realmente avvenuto) vengono prosciolti in istruttoria dalle accuse di danneggiamento.
In un solo caso (tra le decine e decine esaminate) si trova un episodio significativo nel senso contrario. Tre fascisti anconetani sono segnalati in arrivo a Fano il 7 ottobre 1921 (diretti probabilmente in Urbino per una spedizione punitiva) alla stazione dei treni vengono fermati, perquisiti e trovati in possesso di armi e perciò arrestati. Il Sottotenente Pietro Balzano della Guardia Regie viene condannato a 45 gg di arresti perché durante l’interrogatorio di uno dei tre arrestati, e dopo aver ricevuto delle risposte insolenti, colpisce con uno schiaffo uno dei tre fascisti (i tre fascisti: Lino Tilli, Remo Veroli e Rodolfo Mostardi sono condannati per le armi trasportate ma con pene lievissime assolutamente non comparabili con analoghi procedimenti a cui sono sottoposti individui di altre colore politico). Parte una formale protesta del Direttorio del fascio di Ancona (a cui appartenevano i tre fascisti) al Ministero degli Interni e l’ufficiale viene prontamente allontanato e punito.
Sappiamo invece come finirono le decine di proteste e/o interrogazioni che fecero le forze non fasciste.
Questo per illustrare con fatti banali che la “strategia della tensione” e la collusione tra forze reazionarie, servizi di sicurezza e segreti, non è una realtà degli anni settanta ma è parte integrante della storia italiana. E con questa dovremo confrontarci e dobbiamo trarne insegnamento.
Oggi a distanza di più di ottanta anni perché ricordare ancora quelle vicende e quell’episodio?
Per una preoccupazione politica generale: nostalgici dello “statista” Mussolini, ma anche del periodo “squadrista”, dopo un’abile operazione trasformista, sono tornati candidi e legittimati alla gestione, in posti di amministrazione e responsabilità, del potere pubblico (sia in campo nazionale che in quello locale). Operazioni di “revisionismo storico” e la mancanza di memoria storica hanno condotto a ciò. Questo non è accettabile e tutti noi dobbiamo fare di più per ristabilire le verità storiche.
Per una preoccupazione politica locale: in questo periodo forze, che apertamente si dichiarano in continuità con il fascismo, creano spazi d’intervento politico tra i giovani, anche aprendo delle sezioni locali di movimenti neo-fascisti. È necessaria una collaborazione tra coloro che hanno vissuto direttamente i disastri provocati dal fascismo e coloro, più giovani, che non riescono bene (se non incentivati ed aiutati) a distinguere tra le roboanti retoriche che caratterizzarono il regime del ventennio fascista e gli effetti sulla vita delle persone e sul sistema economico-sociale-politico del nostro paese, fino alla devastante partecipazione, alleati con i nazisti, alla seconda guerra mondiale.
Anche una preoccupazione simbolica, forse meno importante: alcune delle lapidi che ricordano l’episodio del 5 agosto del 1922 si stanno scolorendo… proprio come la memoria.
È bene ripristinarla!
In questo caso rimediare è forse più facile…
Con l’iniziativa che abbiamo organizzato è nostro obiettivo “ravvivare i colori”, sia proponendo il restauro alle lapidi, ma anche quello di “ricordare meglio”, questo si può fare con l’attività costante di tutti quanti (con tutte le iniziative possibili) e magari anche ampliando quella “memoria pubblica simbolica” intitolando ai due fanesi uccisi dai fascisti quei due vicoli in cui persero la vita!
Federico Sora (Archivio Biblioteca Enrico Travaglini)
Fano, 5 agosto 2006
(1) Agli atti del Tribunale di Pesaro (Uff. Istruzione, atti archiviati b. 15) risulta che già dal 24 luglio 1921 era stata tentata l’organizzazione di una sezione degli Arditi del popolo per contrastare i fascisti e quella sera una trentina di persone aveva percorso le principali vie cittadine inneggiando agli Arditi del popolo e facendo molta impressione nella cittadinanza. Inseguiti dalla forza pubblica in Piazza Costanzi era partito uno scambio di colpi di arma da fuoco tra le due parti, poi i sovversivi erano fuggiti nel popolare quartiere di S.Leonardo. I suoi promotori e sostenitori più accesi sono ritenuti: Edmondo Mariotti, Antonino Venturini, Vincenzo Bertozzi, Virginio Corsaletti, Giuseppe Bernacchia, Romeo Paoloni, Giulio Vitali, Guerrino Guidi, Romolo Mancurti, Aristide Calamandrei, Emilio Pigalarga, Romolo Ceresani (che insieme al fratello Alcide, protagonisti degli episodi fanesi della rivolta del giugno 1920, uscirono repentinamente dal gruppo anarchico per aderire al fascismo); altri sospetti: Gaetano Bartolucci, Vincenzo Bartolucci, Remo Rovinelli e Arturo Tombari. Altri documenti in cui si parla di Arditi del Popolo presso gli atti della Pretura di Fano nel procedimento contro Umberto Pepi (figlio dell’ex delegato di PS a Fano, Primo Pepi) ed altri fascisti locali (Luigi Biscottini, Giannino Montesi, Pietro Zauli di Baccagno, Michele Mazzucca, Guglielmo Marconi) accusati di aver strappato il distintivo degli Arditi del popolo a Giuseppe Petrini e Giovanni Grottoli, il 6 agosto 1921 (proc. N. 171/1921). Infine il proc. N. 5/1922 contro Remo Rovinelli e Enzo Travaglini, definiti “temibili” Arditi del popolo, trovati appostati presso il cavalcavia ferroviario il 2 gennaio 1922, sospettati di preparare un agguato e trovati in possesso di un pugnale e di cartucce. [torna al testo]
(2) Le Guardie Regie di pubblica sicurezza venne istituito nell’ottobre del 1919 per far fronte allo svilupparsi del movimento e delle lotte dei lavoratori nel primo dopoguerra, periodo conosciuto come “biennio rosso” a cui seguirà il “biennio nero” il periodo dello sviluppo di squadrismo e fascismo e della reazione. Dopo il periodo di utilizzo delle Guardie Regie come repressione e contenimento delle lotte dei lavoratori le Guardie Regie furono utilizzate praticamente come supporto alle azioni violente dei fascisti che non prevennero quasi mai ma che erano pronti ad intervenire nei casi in cui gli antifascisti reagivano alla violenza. Raggiunto lo scopo della sconfitta del movimento dei lavoratori ed annientata qualsiasi libertà ed attività politica, nel 1925 il corpo fu sciolto, dopo aver raggiunto un organico di oltre 40.000 agenti. Per approfondimenti vedi anche: Luca Madrignani, Dalla psicosi rivoluzionaria alla guerra civile: la Regia Guardia per la Pubblica Sicurezza e la gestione dell'ordine pubblico nella crisi dello Stato liberale (1919-1922). [torna al testo]
Alla manifestazione del 5 agosto 2006, parteciparono un centinaio di persone, muovendosi da Via Cavour, dalla lapide in ricordo di Amilcare Biancheria, fino a Via S.Francesco dove si trova la lapide dedicata a Giuseppe Morelli per poi fermarsi per il ricordo collettivo in piazzetta dei Donatori del sangue.
Successivamente a questa iniziativa l’amministrazione comunale effettuò il restauro della lapide e, anche grazie alla donazione di Astorre Giacomini Astorre, figlio di un fanese che fu coinvolto negli avvenimenti del 5 agosto 1922 e che rischiò la stessa sorte di Biancheria e Morelli, è stato eretta una targa commemorativa e intitolato i giardini nei pressi della Rocca Malatestiana ai due antifascisti uccisi.
FONTI:
Il Metauro, 10 agosto 1922
Il Gazzettino, 12 agosto 1922
L’Azione, 12 agosto 1922
Ordine Nuovo, 8 agosto 1922
Umanità Nova, 12 agosto 1922
Il Resto del Carlino (ed. della sera), 6 agosto 1922
Il Gazzettino di Venezia, 9 agosto 1922
Il Giornale d’Italia 8 agosto 1922
Il Popolo d’Italia, 8 agosto 1922
Il Popolo d’Italia, 15 agosto 1922
Archivio Centrale dello Stato:
Casellario Politico Centrale, fascicoli Biancheria Adimero, Biancheria Mariano, Biancheria Nazzareno;
Min. Int. DG-PS, categorie annuali, 1922 b. 57, Sciopero Legalitario Pesaro, Telegramma del Prefetto Pesaro a Min. Interno del 6 agosto 1922;
Archivio di Stato di Pesaro:
Tribunale di Pesaro, atti e sentenze 1921 e 1922;
Registro Generale del Giudice Istruttore 1921/1922 (b. 128), n. ord. 334, procedimento c/Ignoti per omicidio e mancato omicidio; parti lese: Biancheria Amilcare, Morelli Giuseppe, Zauli Pietro; procedimento affidato a giudice Lombardi (risultano movimenti degli atti tra Pubblico Ministero, Ufficio Istruzione tra il 23 dicembre 1922 e il 9 marzo 1923).
Pretura di Fano:
Atti e Sentenze penali 1921 e 1922
Biblioteca Federiciana:
Fondo manoscritti Capalozza
Fondo Castellani
Pubblicazioni:
Paolo Giovannini, Tutto da abbattere, tutto da creare. Le origini del fascismo nella provincia pesarese (1919-1922), Clueb, Bologna, 1993.
L. Cicognetti, P. Giovannini, Per una storia dell’antifascismo pesarese. Biografie politiche, in La provincia di Pesaro e Urbino nel regime fascista. Luoghi, classi e istituzioni tra adesione e opposizione, Il Lavoro editoriale, Ancona, 1986.
Testimonianze orali:
Uguccioni Giuseppe